La scienza è sempre infallibile?

Gli errori di valutazione o la conoscenza limitata di un fenomeno possono portare a grossolane conclusioni completamente errate
Che di scienza esatta esista solo la matematica dovremmo ormai esserne tutti consapevoli. Infatti, per sua stessa definizione, la scienza che studia i numeri e le loro infinite combinazioni si basa su assiomi indiscutibili, completamente dimostrabili ed i cui risultati non possono essere influenzati da alcun fattore sterno o da qualsivoglia parere contrario: la radice quadrata di 4 sarà sempre 2, sia in Italia che in Giappone, sia su Marte, sia che piova o che chi sta eseguendo l’operazione sia ateo o vegano.
Questa omogeneità di risultato non è parimenti riscontrabile in alcun altro ambito scientifico, sia teorico che pratico (ricordiamo infatti che qualunque tecnologia non è altro che l’applicazione pratica di un principio scientifico).
Se è vero infatti che tutte le scienze hanno goduto di una continua evoluzione, deve essere altrettanto vero che le teorie precedenti debbano essere per forza state abbandonate, in favore di nuove scoperte o conferme capaci di confutare le precedenti conoscenze.
Tutti abbiamo presente la disputa, fra il punto di vista religioso e quello scientifico, che coinvolse Galileo Galilei nel momento in cui l’evidenza delle prove poneva la Terra come pianeta che gira attorno al Sole, e non come centro dell’Universo. Fino a quel momento si dava per assodato un modello che era frutto più di speculazione filosofica che non di vera scienza.
La scienza si evolve ma non elimina la possibilità di errori
Ma anche la visione galileiana non era altro che l’embrione di una conoscenza che ha richiesto secoli di continue scoperte per arrivare all’attuale visione dell’Universo, della sua origine, dei suoi meccanismi di evoluzione, crescita e funzionamento.
Se quindi teniamo bene in mente che la scienza è una continua evoluzione di se stessa, comprendiamo come non abbia senso considerare “esatto ed indiscutibile” qualunque principio, soggetto a nuovi studi ed interpretazioni.
Emblematico è quanto successe tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 con l’invenzione dei primi apparecchi radio ad opera di Guglielmo Marconi.
L’esistenza delle onde elettromagnetiche era nota da tempo. L’intuizione di Marconi consistette nell’utilizzare quel principio scientifico per comunicare a distanza, utilizzando le onde elettromagnetiche come mezzo per trasportare informazioni fra punti del pianeta distanti fra loro e non collegati da alcun cavo.
Ancora studente di fisica presso l’Università di Bologna, Marconi si rivolse ad Augusto Righi, eminente fisico e suo insegnate, il quale alla dichiarazione del povero Guglielmo di essere capace di sfruttare le onde elettromagnetiche per costruire un telegrafo senza fili fa l’Italia e l’America, rispose “esca fuori di qui, prima che io la prenda a calci“.
Perché avvenne questo? Forse Righi era invidioso che un suo studente avesse immaginato un uso pratico di un principio scientifico che lui stesso aveva contribuito a scoprire?
Niente affatto.
Fu la limitata conoscenza della nuova scoperta a condurre Righi verso quella poco elegante reazione. Dai vari studi si era capito infatti che le onde elettromagnetiche si propagano in linea retta. Pertanto su brevi distanze sarebbe stato possibile inviare segnali e riceverli, ma su distanze molto grandi la curvatura della superficie terrestre avrebbe fatto disperdere le onde nello spazio, rendendo impossibile la soluzione immaginata da Marconi.
Ma Marconi costruì i suoi apparecchi, e dimostrò in pratica che le trasmissioni partite dall’Inghilterra potevano tranquillamente essere ricevute in Canada.
Era accaduto un miracolo? Marconi era riuscito a far “curvare” il percorso delle onde elettromagnetiche?
Niente di tutto questo.
Molto più semplicemente, all’epoca non si conosceva ancora la presenza della cosiddetta “ionosfera”, ovvero uno strato della nostra atmosfera in grado di far rimbalzare le onde, come un raggio di luce su uno specchio, e permettendo quindi a queste di seguire la curvatura terrestre e raggiungere un punto molto distante rispetto a quello da cui venivano trasmesse.
Se Marconi si fosse basato solo sulle conoscenze teoriche dell’epoca, avrebbe dovuto dare ragione a Righi ed abbandonare i suoi esperimenti. Invece li portò a termine nonostante i pareri contrari della “scienza ufficiale”, con tutte le implicazioni tecnologiche che ancora oggi influenzano il nostro mondo.
Di questi avvenimenti ne da un gustoso resoconto il fisico Emilio Del Giudice, in un suo intervento durante una conferenza.
La lezione da apprendere con questo esempio è che la scienza necessita di continue conferme, e che a volte andare controcorrente porta a grandi rivoluzioni.
Ringrazio del filmato che mi è sembrato utile e interessante tuttavia non mi è chiara l’affermazione di del Giudice quando dice che Marconi ha fallito con il Radar, sapreste dirmi in che senso ?
Minipedia ti ringrazia per aver apprezzato un suo articolo.
Guglielmo Marconi, pioniere mondiale nello studio e nell’applicazione pratica delle onde radio, ipotizzò già nel 1922 il loro uso nel rivelare la presenza di oggetti a distanza tramite il “radiogoniometro”, concettualmente molto simile al “radar”. Tuttavia gli ambiti militari ai quali si rivolse non furono convinti della bontà del progetto, tanto da non concedergli i fondi da lui richiesti per lo sviluppo delle attrezzature e del loro impiego, sia in ambito bellico che civile. Probabilmente fu questa la causa del mancato raggiungimento di obbiettivi tecnici di rilievo, tale per cui lo scienziato italiano non riuscì a completare le ricerche che vennero invece concretizzate nel 1936 dai primi radar inglesi ed americani.